Bassa qualità dell’aria indoor: pericoli sottovalutati
L’aria che respiriamo nelle nostre case è viziata da componenti sintetiche e dannose che possono compromettere la nostra salute. Ecco quali soluzioni possono aiutarci a vivere meglio.
Diversi studi hanno ormai appurato che la qualità dell’aria indoor, quella che respiriamo negli ambienti chiusi come le abitazioni, l’ufficio, la palestra, etc., sia nella media giornaliera più inquinata rispetto a quella che respiriamo all’aperto.
Ad influire sulla IAQ (Indoor Air Quality) sono i più svariati fattori: dalle caratteristiche costruttive degli ambienti alla cessione dai materiali e dai prodotti per applicazioni specifiche (quali per esempio pitture, vernici, adesivi, sigillanti, stucchi, schiume, lacche, primer, impermeabilizzanti), passando per i materiali di arredo, il cattivo utilizzo che si fa dei prodotti chimici per la pulizia e la detergenza, l’utilizzo errato degli strumenti per ottimizzare l’efficienza energetica, le sorgenti legate alle attività delle persone, la presenza di deodoranti per ambienti – air fresheners – inclusi i bastoncini d’incenso (quelli prodotti utilizzando materie prime di scarsa qualità), le candele profumate, i diffusori liquidi ed elettrici.
Una situazione di cui l’opinione pubblica italiana, per molto tempo, ha ignorato la portata, continuando a dare per scontato che la qualità dell’aria negli ambienti interni dovesse essere migliore rispetto a quanto respiriamo all’esterno.
Solo recentemente si sono osservati dei veri e propri cambiamenti sul tema della qualità dell’aria indoor, in gran parte dovuti alle azioni di sensibilizzazione e di prevenzione.
Il gran salto di qualità c’è stato alla fine del 2010 con la pubblicazione per la prima volta da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), delle linee guida per la qualità dell’aria indoor in riferimento a sostanze quali benzene, biossido di azoto, idrocarburi policiclici aromatici (soprattutto benzo[a]pirene), naftalene, monossido di carbonio, radon, tricloroetilene e tetracloroetilene.
Nel contesto europeo, l’attività dell’OMS ha sollecitato diversi Paesi che hanno varato veri e propri piani nazionali sull’inquinamento indoor ed inserito nelle loro legislazioni valori guida di riferimento limitatamente a formaldeide, benzene, monossido di carbonio, anidride carbonica, biossido di azoto, tricloroetilene, tetracloroetilene, PM10, PM2,5.
Mentre molti studi hanno dimostrato che la presenza di sostanze potenzialmente dannose nelle abitazioni e negli ambienti chiusi siano attribuibili a sorgenti identificabili all’interno stesso delle nostre case o del nostro ambiente di lavoro e svago, in Italia non vi è ancora la totale consapevolezza dell’impatto che hanno i vari materiali sulla qualità dell’aria indoor.
Difficilmente ci chiediamo come siano fatti alcuni dei prodotti che usiamo quotidianamente e se nel loro utilizzo possano emettere sostanze inquinanti. Parlando dei bastoncini d’incenso, ad esempio, degli air fresheners o nel caso di lavori o interventi di ristrutturazione fai da te, la pratica più diffusa è quella di rivolgersi al negozio sotto casa o al ferramenta più vicino e acquistare il primo prodotto che capita. Con il risultato che spesso torniamo a casa con il prodotto meno specifico per la nostra applicazione o quello inadatto per l’ambiente in cui verrà sistemato.
Ma qualcosa si sta muovendo anche nel nostro Paese: il Piano di Prevenzione 2014-2018 del Ministero della Salute, sottoscritto dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province Autonome (adottato come linea guida), pone grande attenzione al tema della qualità dell’aria indoor.
Resta forte, tuttavia, l’esigenza di operare un rinnovamento con l’elaborazione di un testo unico in materia d’inquinamento indoor, che recepisca le proposte già elaborate dall’OMS, come avvenuto in molti altri Paesi europei.
Di qui l’impegno dell’Istituto Superiore di Sanità che, negli ultimi anni, ha attivato uno specifico gruppo di studio nazionale sull’inquinamento indoor (GdS) nel quale sono rappresentate le varie componenti istituzionali (Ministero della Salute, Lavoro, Ambiente, Regioni, istituti di ricerca, università). Un lavoro che porterà all’elaborazione di una serie di documenti scientifici condivisi (molti dei quali, come i rapporti ISTISAN, le strategie di monitoraggio dei Composti Organici Volatili, dell’inquinamento biologico e microbiologico, delle fibre di amianto, etc., già disponibili) al fine di consentire un’omogeneità di azioni a livello nazionale, e portare un concreto contributo tecnico alla soluzione dei diversi problemi legati a questo tipo d’inquinamento.
Un gruppo di studio che pone come prerequisito indispensabile della propria ricerca l’assunto che sia necessario cambiare l’approccio quando si tratta di inquinamento indoor: bisogna passare dalla vecchia valutazione della qualità dell’aria basata essenzialmente sulle metodologie applicate in ambito di igiene industriale ad una più mirata visione che tenga conto delle specificità degli ambienti chiusi (case, uffici, palestre, etc.) così come dell’utilizzo che ne fanno le persone che quotidianamente li vivono.